ROMA – Quelli che la Nike non li avrebbe mai messi nello spot. Quelli che non te li aspettavi neppure titolari. Quelli che invece stanno conquistando nell’album dei mondiali le caselle da cui si sono scollate le figurine di Rooney, Cristiano Ronaldo e Ribery. Facce nuove, gente giovane, in campo spesso per caso. A dover indicare gli uomini emergenti di questo mondiale si comincia con due storie parallele di disperazione a lieto fine che partono dallo stesso girone, quello in cui giocano Germania e Ghana. Ai tedeschi si ferma Ballack. Lutto nazionale. Come non fossero almeno tre anni che la luce del centrocampo era diventata un lumino votivo. Ed ecco che alla prima partita nella cabina di regia tedesca compare una strana coppia che all’estero pochi conoscono, due birre mai esportate, con ingredienti strani: zenzero e cumino. Uno è mezzo turco, l’altro mezzo tunisino. Se li cerchi su Google, i loro nomi sono talmente poco affermati che li trovi scritti spesso in maniera diversa. Per lo più: Ozil e Khedira. Chi erano costoro? Più giusto chiedersi chi diventeranno.
Le loro storie hanno coincidenze significative: Khedira ha debuttato in amichevole, guarda caso contro il Sudafrica. In quella partita Ozil ha segnato il primo gol. Tanto Ballack era alto, lento, un faro che doveva girare la luce intorno prima di individuare il compagno a cui dare palla quanto Ozil è brevilineo, rapido, un radar che manda un raggio senza prendere la mira. Riguardarsi l’azione dell’assist a Mueller contro l’Inghilterra per verificare. Nella stessa partita Khedira ha conteso con successo il dominio del centrocampo a Lampard, che a differenza di Ballack il Chelsea non mollerebbe mai e a un certo punto, con sfrontata naturalezza, si è perfino esibito in un passaggio di tacco. Nello scontro atteso come “la battaglia della terza guerra mondiale”. Attenti a quei due, sono cresciuti partita dopo partita e vanno sereni all’esame di maturità contro Mascherano e Maxi Rodriguez. Germania-Argentina la decidono gli attaccanti, dicono: ma occhio a chi li innesca.
Non molto diverso il destino di un’altra strana coppia: i ghanesi Annan e Boateng. Della squadra che porta avanti l’Africa chi conoscevamo? Essien, certo, un altro del Chelsea. Rotto. Muntari, riserva dell’Inter. Escluso per bizze caratteriali (qualcuno dice: perché musulmano in una squadra cristiana). Appiah: vecchia gloria con 15 minuti nelle gambe. E allora chi gioca? Annan e Boateng. Il primo è uno strano caso di africano mandato a surgelarsi in Scandinavia, da sempre nel campionato norvegese e per anni con squadre minori, prima di approdare al Rosenborg. Al suo fianco il Principe, da molti confuso con il fratello che ha preferito la cittadinanza e la maglia tedesca. Nessuno pensava che potessero rimpiazzare gli assenti. E guarda. Annan può esservi sfuggito, ma non agli operatori del gran mercato. È il numero 6, una specie di Furino nero, che ai supplementari con gli Usa invece di scaricarsi accelerava, continuando a trasportare palloni dalla difesa all’attacco. E Boateng: impossibile non notarlo, non solo per i tatuaggi e l’acconciatura, ma anche perché tirava da tutte le posizioni, ha segnato e promette di continuare.
Un altro che non intende smettere di farlo è Suarez, il centravanti tascabile dell’Uruguay, l’unico che possa avvicinare la potenza esplosiva di Villa. Ma se dello spagnolo sapevamo già molto (però lui ha confermato tutto e con lode) dell’uruguaiano non avevamo le stesse referenze. Forlan, si diceva: l’Uruguay ha un solo schema, difende e poi spera che Forlan inventi qualcosa. Invece è sbucato il folletto dell’Ajax, dove ha una media di un gol a partita. Come Villa è uno che non ha bisogno di essere smarcato, basta dargliela e stare a guardare. Con il marcatore davanti Suarez sposta il corpo, fa uno scatto secco, si allunga la palla quel poco che basta, scocca il tiro. E, Jabulani o no, non gli esce mai sbilenco. Degli attaccanti che non ti aspettavi è quello che ha più futuro davanti.
Poi bisogna pur indicare un portiere, in questo mondiale di papere e saponette, respinte da pallavolisti e carambole da biliardo. Il migliore di tutti è sembrato il portoghese Eduardo, ma ci ha lasciato in un mare di lacrime. E allora ce ne resta uno solo, imbattuto su azione, anche lui con un nome di quelli che Wikipedia prova a correggerti due volte prima di arrendersi. Forse cercavi Van der Sar. No, quello si è ritirato e al suo posto adesso gioca Stekelenburg. Sembra un villaggio al confine con la Germania, invece è il guardiano dell’Ajax e di questa nazionale arancio che ti fa passare soltanto di rigore. È uno dei pochissimi a non aver ancora fatto esercizi da foca con Jabulani e contro la Slovacchia ha mascherato con parate decisive le magagne della difesa. Il Brasile dirà se era classe o acqua. Intanto questi vanno avanti e le vecchie glorie a casa. Inorgoglito, Khedira si fa bandiera della nuova generazione e proclama: “L’Italia doveva dare spazio ai migliori, come è successo da noi”. È l’ora dei meticci, degli insoliti ignoti e delle riserve. Poi magari, adesso che il gioco si fa duro, verranno fuori Messi e Kakà, ma appena alzati dalla panchina hanno impressionato (più di Milito, più di Nilmar) lo spagnolo Llorente e l’olandese Elia. Profeti venuti dal nulla.
Fonte: La Repubblica
La redazione di www.calciomercatoweb.it
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