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Palermo, Zamparini spiega le sue ragioni

PALERMO ZAMPARINI – Sul Corriere dello Sport interessante intervista a Zamparini, che parla delle motivazioni che lo spingono a cedere il Palermo, dopo i continui torti arbitrali subiti da lui denunciati. Ecco il testo integrale, ripreso da www.corrieredellosport.it :

 «Ma che soddisfazione c’è a vincere le partite a carte barando?». Mau­rizio Zamparini è un fiume in piena. La risposta alle ingiustizie di San Siro è cla­morosa: via dal Palermo, via dal calcio, via dall’Italia.

Vende il Palermo, chiude col pallone. Spazio per i ripensamenti?
«Se vanno via tutti quelli che ora sono in Federazione, se rivoltano come un pe­dalino il sistema arbitrale. Ma dato che ci vorranno decenni, allora vado via. Ho visto il rigore che domenica non hanno dato al Bari. Basta: qui non cambia nul­la. Altro che Calciopoli. E poi parlano anche di errori».

Non ci crede.
«Mi piacerebbe credere a un ritorno ai vecchi valo­ri, quelli della lealtà, della sportività, vinca il miglio­re… ».

Invece?
«In trentatré partite, un­dici della Juventus, undici del Milan e undici dell’In­ter, non un rigore contro è stato fischiato. Sono stati fischiati, invece, tre, quat­tro rigori contro il Paler­mo che non c’erano e non gliene sono stati concessi quattro, cinque a favore che c’erano. Non ci sto a vivere in mezzo a questo squallore. In Lega mi bat­to solo io a nome delle me­dio- piccole e il Palermo non è certo un club medio­piccolo. Tutto viene fatto in funzione dei grandi club, tutto negli anni è peggiorato: il sistema, gli arbitri. In Lega c’è un pre­sidente succube delle grandi. Gli arbitri erano al centro di Calciopoli. E co­sa è accaduto?».

Cosa?
«Hanno ottenuto l’auto­nomia totale, cioè invece di essere puniti, sono stati premiati. Che bellezza!».

E per tutto questo lascerà pure l’Ita­lia?
«Il calcio è solo lo specchio del paese. A Benevento a luglio un Pm ha chiesto i miei arresti domiciliari. Faccio l’im­prenditore da cinquant’anni, ho creato migliaia di posti di lavoro e sfido chiun­que a dimostrare che ho commesso del­le irregolarità, delle illegalità. Questa è l’Italia, queste sono le istituzioni. Un de­grado totale, conta solo l’immagine. Ho casa in Austria e così ho pensato di an­darmene lì, una volta che avrò sistema­to le mie cose in Italia. Quella è una na­zione di cittadini, non di sudditi. Ma pri­ma di volare via voglio fare un’ultima battaglia».

In che senso?
«Voglio creare un movimento di opi­nione che non riguardi solo il calcio, che riguardi tutto il paese. Vorrei che i tifo­si del Palermo unendosi a quelli del Ba­ri, a quelli di altre città promuovessero una marcia su Roma, cinquecentomila persone per dire che questo calcio qui non funziona. I tifosi sono la cosa più pu­lita del calcio».

E tutto il resto?
«Poteri, solo poteri. Ma se la ricorda Bayern-Fiorentina? Un risultato falsato da un gol in fuorigioco clamoroso. Ma veramente l’arbitro e il guardalinee non hanno visto? Quanto vale un passaggio del turno in Champions? Un milione e mezzo di euro, due milioni? E’ pensabile che versando cinquecentomila euro si possa condizionare un arbitro? Lo dico chiaramente: Bayern-Fiorentina è stata una partita illegale e in questi casi basta­no le immagini televisive per condanna­re un arbitro».

Ha parlato con Galliani?
«No, non ho parlato. E d’altro canto, Galliani è organico a questo modo di pensare che vige nel calcio: vincere sempre, non conta come. Ecco perché dico che questa gente deve andare via dallo sport: vadano a fare il Palio di Sie­na».

Perché proprio il Palio?
«Perché lì è tutto lecito. E, allora, me­glio il Palio. La realtà è che nel calcio italiano non vince il migliore, vince il più furbo».

I tifosi del Palermo si sentiranno abbandonati…
«No, io non voglio abban­donare nessuno, soprattut­to questi straordinari tifo­si».

I tempi dell’uscita dal calcio?
«Pensavo più lunghi. In­vece l’advisor, che ho già trovato, mi ha fatto sapere che ci sono cinque sei pre­tendenti».

Questo vuol dire che il calcio piace, anche se è il regno dei furbi…
«Il Palermo è una realtà che ha grande appeal. Ma a prescindere da questo… Guardi, voglio raccontarle una cosa. Nell’ultima riu­nione in Lega ho detto ad Andrea Agnelli: avete fat­to regole che tutelano solo le grandi squadre, di que­sto passo prima me ne an­drò io ma poi se ne an­dranno tanti altri. Perché, sia chiaro, da tempo io pensavo di mollare il pal­lone, ho solo atteso la goc­cia capace di far trabocca­re il vaso».

Cos’è che non va nel sistema arbitra­le?
«Qui c’è un presidente che dice: siamo tutti corretti, tutti incorruttibili. Poi ar­riva Banti o quel Russo che ha prodotto danni incalcolabili in Brescia-Roma. Un arbitro così non avrebbe dovuto arbitra­re più, per tutta la stagione, invece lo hanno spedito a un derby, lo hanno pro­mosso. Il rigore non dato al Bari nella partita col Milan è clamoroso, però con­temporaneamente, nella stessa giorna­ta, danno a Juve e Inter rigori che non ci sono».

Sa cosa le diranno?
«Sì, di portare le prove. È come prima di Calciopoli: parlavano di sudditanza psicologica. Poi, però, sono venute fuori le prove e non si trattava solo di suddi­tanza. Ripeto: l’evidenza televisiva deve essere prova».

Lei aveva un’idea per valutare gli ar­bitri…
«L’ho proposta e mi hanno irriso. Ho detto: i club diano un voto e ogni tre me­si, sulla base di quei voti, promuoviamo o bocciamo. Ora gli arbitri non vengono giudicati da nessuno e Braschi è decisa­mente più sensibile ad Andrea Agnelli che a me».

La sua può essere interpretata come una resa.
«Esco sconfitto, al cento per cento. Calciopoli è stato solo lo strumento per sostituire un potere con un altro potere. A loro non interessano i valori sportivi: prima vinceva la Juve, poi ha vinto l’In­ter. Ai presidenti in una assemblea ho detto chiaro e tondo: tutti voi lottate per tutelare l’interesse del vostro club, sol­tanto io dico che bisogna tutelare l’inte­resse del calcio».

Ai tifosi del Palermo cosa dice?
«Capisco il loro disappunto, ma non li abbandono: garantisco che chi arriverà sarà migliore di me. Ma io sono deluso. Ogni volta che cambiava il governo spe­ravo che arrivasse qualcuno in grado di capire la rilevanza sociale del calcio e che per questa rilevanza bisogna proteg­gerlo dai poteri forti. Poi arriva la Me­landri, una di sinistra che fa una perfet­ta legge di destra. Lei non capiva nulla di calcio e si è fatta condizionare dalle lob­by. E anche voi giornalisti avete gravi colpe. Il vostro ruolo è quello dei censo­ri, tornate a svolgerlo».

Ha parlato con Delio Rossi?
«L’ho avvertito. Domenica sarò in tri­buna proprio per far capire che non fug­go, non li abbandono. La campagna-ac­quisti di gennaio va avanti così come l’abbiamo impostata. Agli acquirenti non chiederò soldi in più ma garanzie sul progetto. Quel che abbiamo messo in cantiere, a cominciare dal nuovo stadio, resta».

Se avesse di fronte Galliani cosa gli direbbe?
«Nulla. A Galliani va bene così, lui è un manager, come lo era Giraudo: non glie­ne frega niente di vincere con un rigore che non c’è, non gliene frega niente se il Cesena fallisce perché tutti i soldi ven­gono dati al Milan. Quando arrivò la manna dei diritti televisivi, ci fu un grande scontro. Alla fine ci accordam­mo nella distribuzione dei quattrini. Bi­sognava, però, decidere la divisione del­le spese. Sa cosa avvenne? Che la divisio­ne fu in parti uguali: chi incassava di più pagava nella stessa misura di chi incas­sava molto, molto meno».

Calciopoli è stata una occasione spre­cata?
«Calciopoli è stata la lotta di un potere contro un altro potere: il nuovo ha cac­ciato il vecchio. E nulla è cambiato».

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