Di un calciatore come Cristiano Ronaldo, sugli schermi mondiali da più di un decennio, si pensa di sapere tutto. Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, fenomeno portoghese classe 1985, è sempre stato il gioiellino delle squadre nelle quali ha militato e ha collezionato titoli su titoli. È risaputo che sia uno dei migliori giocatori di tutti i tempi: capitano della nazionale portoghese, vincitore di 3 palloni d’oro, argento agli Europei 2004, primo nella classifica UEFA Best Player in Europe Award del 2014 e vincitore di due Champions League (la prima con il Manchester United nel 2008 e la seconda con il Real Madrid nel 2014).
Cristiano Ronaldo pare inoltre l’uomo dei record: se ne contano a decine fra essere il calciatore che ha segnato più reti in Champions League in un anno solare, l’unico calciatore ad aver ricevuto quattro volte la Scarpa d’oro e l’unico ad aver vinto in un anno solare il Pallone d’oro FIFA, l’UEFA Best Player in Europe e la Scarpa d’oro. Tantissime sono le curiosità alla portata di appassionati e curiosi su CR7, ma alcune non sono poi così conosciute, come il fatto che quel numero, il 7, Cristiano Ronaldo neanche lo voleva.
Il salto dallo Sporting CP al Manchester United nel 2003, che lo aveva eletto il giocatore teenager più pagato del calcio britannico con 12,24 milioni di sterline, era allo stesso tempo una vittoria e una preoccupazione, quella di dover dimostrare di valere tanta fiducia (e tanti soldi). La maglia numero 7, appartenuta a leggende quali George Best, Eric Cantona e David Beckham, avrebbe racchiuso grandi aspettative da parte dei tifosi, dunque Cristiano Ronaldo chiese di mantenere il 28, numero con il quale aveva giocato nel club precedente. Alex Ferguson, allora allenatore dei Red Devils, si oppose a tale richiesta e impose al giocatore portoghese la maglia numero 7 che, col senno di poi, possiamo affermare non aver tradito le aspettative.
“Mens sana in corpore sano” potrebbe essere il tatuaggio perfetto per Cristiano Ronaldo, se solo il calciatore fosse interessato alla pratica di farsi scrivere e disegnare sul corpo. Il capitano del Portogallo, infatti, non ha alcun tatuaggio, non beve e non fuma, caratteristiche che potrebbero valergli un altro primato fra i calciatori del suo livello. CR7 non vuole infatti rinunciare alle due donazioni di sangue annuali, come non è disposto a influenzare negativamente le performance calcistiche a causa di alcol e sigarette, anche se è probabile che la morte del padre per abuso di alcolici abbia il proprio peso.
Oltre al Cristiano Ronaldo calciatore esiste il Cristiano Ronaldo pokerista. La sua passione per il tavolo verde si è sviluppata in privato, giocando con gli altri calciatori durante le trasferte oppure in casa con gli amici e la famiglia, finché non è sfociata nella recente sponsorizzazione di Poker Stars, che lo ha accolto nel Team Sport. «Ho iniziato a giocare a poker qualche anno fa e amo la competizione, la strategia e, naturalmente, il divertimento ‒ ha dichiarato CR7, che ha annunciato la novità ai fan tramite un video sul suo profilo facebook ‒. Non vedo l’ora di potermi cimentare ai tavoli online e dal vivo, e di incontrare i miei fan per misurarmi con loro. Sebbene il calcio sia il mio mondo, il poker è sempre stato il mio gioco».
Diventare ambasciatore della Picca Rossa significa, oltre ad esportare il poker sportivo nel mondo, partecipare a tornei charity il cui ricavato viene devoluto in beneficenza e il rapporto fra CR7 e la beneficenza è già molto stretto. Pochi sanno, però, che il calciatore ha sempre partecipato alle raccolte fondi organizzate dalle ONG, che ha finanziato scuole per i bambini di Gaza, che è ambasciatore di Save the Children e del Mangrove Care Forum in Indonesia e che è arrivato a donare 100.000 euro per costruire un reparto per il cancro presso l’ospedale della nativa Madeira.
Infine, non tutti sanno che la brillante carriera di CR7 ha rischiato di arrestarsi ancora prima di cominciare. Quando aveva solo 15 anni e militava nello Sporting Clube de Portugal, gli fu diagnosticata la tachicardia: il suo cuore batteva troppo forte anche quando l’atleta non era sotto sforzo. La decisione presa fu quella di operarlo con una sorta di laser, che gli permise di essere dimesso nei tempi brevissimi del “day hospital”. L’esito dell’intervento, positivo, lo tenne distante dal campo di calcio solo qualche giorno e ha permesso al fuoriclasse racchiuso dentro di lui di farsi conoscere.
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